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Dogman: un'analisi zooantropologica del film

Dogman è la storia di Doug che cerca di districarsi da una vita di sofferenza con l'aiuto dei suoi amati cani: cosa ci portiamo a casa da questo film?

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Giulia Colasacco
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Dogman: un'analisi zooantropologica del film

Dogman è la storia di Doug che cerca di districarsi da una vita di sofferenza con l'aiuto dei suoi amati cani: cosa ci portiamo a casa da questo film?

TRAMA

I film che parlano di cani sono molti e più piacciono al pubblico, più hanno un impatto sulla società, come tutte le storie. Oggi parliamo di Dogman, film scritto e diretto da Luc Besson e uscito nel 2023. Non ci interessa tanto farne una recensione o un commento critico dal punto di vista cinematografico. Ci interessa analizzare Dogman dal punto di vista zooantropologico, a partire da alcune citazioni estrapolate dal film.

Di cosa parla Dogman?

Doug sta guidando il suo camion su cui trasporta i suoi cani quando viene fermato dalle autorità per un controllo: viene poi preso in custodia e affidato alla psichiatra Evelyn. Doug ha avuto una vita difficile, ha subito una vita di abusi e di rifiuti. È paraplegico, travestito e ha bisogno di aiuto. Doug così racconta ad Evelyn la sua storia: ha inizio un lungo flashback in cui Doug ci mostra il suo doloroso passato e il suo rapporto con gli amati cani.

Perché un articolo su questo film?

Le opere di fiction, libri, serie TV, film in cui gli animali sono protagonisti o personaggi importanti sono moltissimi e quasi mai si ragiona a priori su come queste storie influenzeranno le scelte delle persone.

Questo cosa vuol dire in termini pratici? Che ogni azione ha sempre una reazione e prima di muoversi su vasta scala ci sono diversi fattori che andrebbero presi in considerazione. Prendiamo per esempio l’impatto che film come Rin Tin Tin, Lessie e La carica dei 101 hanno avuto su quelli che allora erano gli spettatori, trasformandosi nell’invasione di Pastore Tedesco, Rough Collie e Dalmata per le vie della città. Lo stesso discorso potremmo farlo per film più recenti come Io & Marley e l’iconico Hachicko, per il quale persino la razza è stata depersonalizzata indicando ed esclamando “Ehi guarda un Hachiko!” ogni qual volta si vede un Akita Inu per strada.

Cosa comporta effettivamente questa cassa di risonanza che creano i mass media?

Non ci si rende conto di quanto questo fenomeno possa essere pericoloso e chi ne fa le spese sono i cani. I temi che potrebbero essere affrontati sono davvero tanti, ma la cosa più grave è la totale oggettivizzazione di questi cani, che non vengono presi a seguito di una decisione ponderata sull’effettiva possibilità di accogliere un cane in casa, con tutto ciò che comporta, né a seguito di un’attenta analisi di quale possa essere il cane più adatto a quello specifico contesto. Questi cani vengono presi per moda, per ego, per vanità, per un capriccio, proprio come fossero un oggetto.

Entriamo nel vivo: Dogman, un’analisi zooantropologica

La prima cosa che è fondamentale da sottolineare è che per fare un’analisi critica di un qualsivoglia contenuto, bisogna prendere in considerazione il prodotto nella sua totalità.

Al di là di quello che può rientrare nel puro piacere soggettivo, che, come tale, non può essere sottoposto a giudizio, ogni film viene studiato da un regista, il quale ha un obiettivo comunicativo tramite il quale vuole cogliere lo spettatore e, come se stesse direttamente parlando con lui, trasferirgli concetti, sensazioni, emozioni, moniti, morali. Già prendendo in considerazione questo aspetto ci si dovrebbe mettere nelle condizioni di ascolto, per poter cogliere quale messaggio vuole venirci comunicato.

Successivamente si può analizzare in maniera dettagliata e costruttiva ciò che viene estrapolato, ricordandoci che gli aspetti da valutare possono essere diversi. Non siamo in questa sede per analizzare la pellicola in quanto tale, né per valutare capacità registiche e attoriali, ma per svolgere un’analisi dal punto di vista cinofilo e antropologico.

D: “Nessuno esiste senza un passato” E: “Si dice che il passato è la radice che diventa albero” D: “Le radici sono invisibili, perché scavare?” E: “Si dice che il passato è la radice che diventa albero” D: “Le radici sono invisibili, perché scavare?” E: “Perché ti fa bene” D: “Touche”

Questa è una delle prime conversazioni che avvengono tra Evelyn e Doug e già da qui un primo messaggio, a mio parere fondamentale, che possiamo cogliere.

Douglas ci appare a prima vista come una persona ferita, disturbata, con delle evidenti difficoltà e ci viene dipinto come pericoloso e instabile, rinchiuso in una cella. Per questo viene incaricata una psichiatra per parlare con lui, poiché la polizia non riesce assolutamente ad entrarci in contatto.

Il parallelismo che subito mi salta alla mente è inevitabile: i cani nei canili, tra abbandoni, accalappiamenti e rinunce di proprietà. Nessuno prende in considerazione che quei cani siano dei soggetti, ognuno di loro è QUALCUNO, che prima di arrivare lì, in quella gabbia, aveva una vita, delle abitudini, delle conoscenze, un PASSATO. La depersonalizzazione che subiscono è così simile a quella dei carcerati, tutti uguali nelle loro divise, nelle loro celle di cemento, dietro le sbarre.

Da questo momento in poi il cane ha solo due strade: diventare un poverino da salvare oppure qualcuno da tacciare come pericoloso e irrecuperabile. I cani però non sono né l’uno né l’altro ed è non solo importante, ma ESSENZIALE, comprendere questo aspetto se davvero vogliamo aiutarli a migliorare la qualità delle loro vite.

Vedere un cane come un soggetto con un passato, vuol dire prima di tutto riconoscergli di essere un individuo e come tale non può essere trattato come fosse un numero, ognuno di quegli individui ha una personalità, dei bisogni e delle esigenze che necessitano conoscenze e preparazione per essere soddisfatti.

"Non basta fare del bene, bisogna anche saperlo fare.”

Che si parli di un cane in difficoltà fisiche o mentali non cambia, per aiutarlo non basta volerlo, non basta “l’amore”. Servono persone formate e consce di come farlo. Non è assolutamente produttivo scadere in una visione pietistica, in cui i cani diventano dei poverini da salvare. La maggior parte dei cani non ha bisogno di essere salvata, ma di essere AIUTATA e per farlo non bastano una cuccia e un pasto caldo.

I cani hanno dei bisogni specie specifici, che, come tali, sono differenti da quelli umani e senza conoscerli non si possono garantire. Inoltre, dipingendo questi soggetti come “povere anime bisognose” si rischia di lasciargli addosso questa etichetta che non permetterà loro di riscattarsi.

Come abbiamo detto prima, ogni individuo è qualcuno con un passato, ma è anche qualcuno con un presente e che ha il diritto di avere un futuro ricco di possibilità. Se si riuscisse non solo ad accettare questo, ma ad applicarlo, anche, i cani bollati come irrecuperabili potrebbero avere la loro opportunità di riscatto. Come avviene nel film Dogman, purtroppo solo alla fine, viene chiamato qualcuno di competente, che abbia le conoscenze e l’esperienza giusta per entrare in comunicazione con un soggetto che si trova in evidente difficoltà e che fino a quel momento non è mai stato ascoltato.

Se guardiamo tutta la storia di Douglas, fin da bambino, l’unica figura che gli rivolge un’attenzione mirata, volta ad apportare un cambiamento, è un’insegnante di sostegno nella casa-famiglia. L'insegnante, però, non si occupa di svolgere la sua mansione in maniera professionale, supportata da un sistema consapevole, quanto di svolgere il ruolo di insegnante di teatro. È giovane e inesperta, tanto da non rendersi conto del coinvolgimento emotivo di Doug, il quale dopo la dipartita dell’insegnate, viene abbandonato a sé stesso.

Risulta lampante, di nuovo, quanto chi necessita di aiuto ha bisogno di un aiuto consapevole, formato e pratico. Non basta la conoscenza portata dagli studi, come non basta l’esperienza di anni ed anni senza alla base delle nozioni specifiche. È necessario unire i saperi, teorici e pratici, per far sì che davvero si possa cambiare la situazione di questi individui, umani e non.

D: “Il mondo reale non ha fatto altro che respingermi, io mi sono adattato.”

Così esordisce Douglas, giustificando la sua scelta di rubare per continuare a vivere, dopo che gli era stato tolto il canile, che gestiva con cura, per ragioni puramente economiche poiché il palazzo era finito al centro di un progetto di speculazione edilizia. Per lui, è l’ennesimo schiaffo ricevuto dopo i maltrattamenti del padre, un’adolescenza vissuta tra infinite case-famiglia e una lista altrettanto infinita di rifiuti e di porte sbattute in faccia quando aveva provato a trovare un altro lavoro, perché nessuno aveva la minima intenzione di assumere una persona in carrozzina.

Ha fatto molto scalpore questo punto della storia, dove il protagonista sfrutta la collaborazione dei cani per rubare e, come dice lui stesso, “redistribuire le ricchezze”. Se vogliamo analizzare questo punto, dove si è puntato reagendo di pancia allo sfruttamento e all’egoismo, con razionalità e spirito critico, bisogna ancora una volta tenere in considerazione diversi aspetti.

Come si diceva all’inizio bisogna partire dal presupposto che sempre di un film si tratta e non si può prendere come un estremo dato di realtà e quindi possibilità ciò che si vede. Bisogna essere in grado di indossare le lenti del regista e andare oltre.

Qual è il messaggio che il regista ha voluto mandare tramite questa immagine? Sicuramente una forte critica di quella che è la discriminazione nei confronti di quelle che nel nostro paese vengono riconosciute come categorie protette, ma che altrove non ricevono alcun tipo di tutela. Poi se vogliamo dirla tutta, ovunque ci giriamo è ancora pieno di barriere architettoniche e luoghi non accessibili ai disabili.

E ancora, quante sono davvero le possibilità di impiego per un disabile? Quanto sono diversificate e quanto siamo disposti ad accoglierli e agevolarli?

Da un punto di vista cinofilo quello che possiamo analizzare e sottolineare è che sicuramente è meglio liberi di agire e di scegliere, che rinchiusi in delle piccole gabbie di cemento senza la libertà di scegliere quando godere dei raggi del sole e quando dell’ombra di un albero. La realtà dei canili è qualcosa che ancora non viene presa davvero in considerazione per quella che è davvero. Ci si ricama intorno, tra visioni pietistiche e sindromi da croce rossine, innalzandosi a grandi salvatori, quando in realtà quello che si fa è scegliere per qualcun altro cosa sia meglio per lui, senza interpellarlo e senza domandarsi se ciò che è bene per noi sia davvero bene per qualcun altro. Il discorso è davvero complesso e forse servirebbe un articolo a parte per parlare di questo mondo.

Di cosa parla davvero Dogman?

E: “E hai dei figli Douglas?” D: “Centinaia” E: “Ah ti riferisci ai tuoi cani...?” D: “Centinaia” E: “Ah ti riferisci ai tuoi cani...?” D: “Si…sono i miei bambini. Il loro amore mi ha salvato centinaia di volte, gli devo la vita” E: “Diresti di amare i tuoi cani più degli esseri umani?” D: “Assolutamente. Più conosco gli umani e più amo i cani” E: "Quali qualità possiedono che gli umani non hanno?” D: “I cani hanno bellezza senza vanità, forza senza insolenza, coraggio senza ferocia e tutte le virtù che hanno gli umani senza nessuno dei loro vizi. Per quanto ne so io hanno soltanto un difetto.” E: “E quale?” D: “Si fidano degli umani”

L’intero film porta alla luce la discriminazione nei confronti di chi è diverso, l’abbandono della società verso chi ha davvero bisogno di aiuto e che spesso si ritrova ad aggrapparsi a quel poco che gli resta. Al giorno d’oggi dove ancora ci troviamo a combattere contro le violenze di genere, le discriminazioni, contro le guerre, è facile scadere nell’eccessiva semplificazione di un simile paragone, tra umano e cane, che altro non è che un paradosso.

Per quanto si possa comprendere da cosa deriva questo forte sentire, soprattutto empatizzando con il protagonista che viene abbandonato da tutti eccetto che dai cani, non è possibile parlare di superiorità di una specie sull’altra, poiché la diversità non è di per sé paragonabile. Ogni specie ha i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza, ma le sue caratteristiche specie specifiche, in quanto tali non possono essere messi a paragone di caratteristiche specie specifiche di un’altra specie. Solo comprendendo a fondo questo concetto sarà possibile analizzare i comportamenti in maniera critica costruttiva e riconoscere ad ognuno il proprio potenziale.

Nella società si paragonano le capacità sottoponendo ad individui diversi, con caratteristiche e potenzialità diverse, lo stesso compito da svolgere alle stesse condizioni. Questo non solo non è equo, ma non è un termine di valutazione adeguato e funzionale nel dare a tutti le stesse possibilità di successo. Basti pensare nel più “piccolo” ambito della scuola, dove si mettono a confronto individui della stessa specie alla stessa età, sottoponendo asettici test tutti uguali. Riflettendo insieme, un pesce ed una scimmia avranno davvero la stessa opportunità di salire su un albero?

La grande pericolosità è che si possa pensare davvero ad una superiorità di specie e razza e questo non si discosta molto da quelle cose sono state - e sono ahimè tutt’ora - le discriminazioni razziali.

Demonizzare e divinizzare sono estremismi e come tali non portano a nulla di buono. Impariamo ad osservare i dettagli e a tener conto delle risorse che ognuno potrebbe offrire, adattando le situazioni in modo che siano eque per tutti.

Il commercio illegale di cani: una piaga anche in Italia

D: “I cani di razza...ne vengono commerciati molti illegalmente e se restano invenduti i trafficanti li uccidono e li buttano dal finestrino”

Il commercio illegale di cani di razza, allevati in maniera intensiva e smerciati in tutto il mondo, per rispondere alla sempre più alta richiesta, è una realtà che arriva anche nel nostro paese. L’Italia e i paesi come la Spagna, la Francia e il Belgio sono il punto di arrivo di migliaia di cuccioli di cane provenienti dai Paesi dell’Est, in particolare da Ungheria, Slovacchia, Polonia, Romania e Repubblica Ceca, dove i controlli sono scarsi e le condizioni igienico sanitarie non vengono fatte rispettare (basti pensare ai numerosi cani che ancora arrivano da questi paesi, mutilati di orecchie e coda. Non solo viene permesso loro di entrare in Italia, ma non è prevista nessuna multa o segnalazione per maltrattamento di animali).

Ogni settimana in Italia, arrivano circa duemila cuccioli dall'estero, viaggiando soprattutto di notte, spesso con passaporti falsi o falsificati, nascosti nei bagagliai di autovetture, in furgoni o tir, mimetizzati all’interno di insospettabili borsoni, in treno, in aereo. Un viaggio che può durare anche oltre 12 ore. La vendita avviene in allevamenti e negozi, furtivamente presso i caselli autostradali e sempre più frequentemente su internet.

Secondo un’indagine condotta in Repubblica Ceca, spesso gli allevamenti illegali sono in prossimità delle frontiere con la Germania o l’Austria dove i cani di razza costano di più e vi sono molte possibilità per passare la frontiera senza controlli.

La vera causa di questo commercio è l’elevata richiesta di cani di razza a basso prezzo, di nuovo oggettivizzando i cani, senza riconoscere non solo a loro un valore come individui, ma neanche un valore a quello che dovrebbe essere il lavoro che c’è dietro alla selezione di una determinata razza, all’allevamento, alla nascita e alla crescita di soggetti che dovrebbero essere perfetti sotto ogni punto di vista, dal sanitario al comportamentale.

Pur di pagare poco e soddisfare un capriccio egoistico, si sceglie invece di finanziare queste vere e proprie aziende dell’orrore con cuccioli allontanati troppo presto dalle loro madri e tenuti relegati in piccole gabbie senza alcun contatto con l’esterno e con altre fonti di vita. Di norma per uno sviluppo sano è necessario che il cucciolo stia con la madre e con i fratelli almeno fino ai 75 giorni. Se viene a mancare un corretto processo di attaccamento, non solo il cucciolo a causa delle condizioni in cui è allevato soffrirà di problemi di salute, ma andrà incontro anche a problematiche comportamentali gravi.

Quello che lascia sconcertati è una carenza da un punto di vista legislativo: all’interno del nostro sistema gli animali sono definiti come delle proprietà. Risulta più che necessario non solo rivedere le condizioni base del benessere animale e il riconoscimento di un'individualità d’essere, ma anche uniformare i paesi nel rispetto di questo concetto e diritto. Di sicuro, queste misure non fermano il traffico illegale ma potrebbero in parte contenerlo. Molto altro andrebbe fatto da ognuno di noi, che ha il dovere di informarsi e formarsi prima di scegliere se e come prendere un cane con sé.

La differenza tra educazione e addestramento: per l’educazione non è mai troppo tardi

D: “Per addestrare bene un animale prima inizi meglio è.… io sono troppo vecchio per essere addestrato”

Il protagonista di Dogman pronuncia queste parole e tocca un altro argomento importante.

È giunto il momento di prendere posizione, di spiegare a gran voce che c’è una grandissima differenza tra educazione ed addestramento e che NO non sono termini interscambiabili.

Educare deriva dal latino “educere” ossia “tirare fuori”. Educare vuol dire per l’appunto tirar fuori qualcosa che è già insito nel soggetto, ossia le qualità innate, presenti sin dalla nascita e fare in modo che l’individuo possa svilupparle e affinarle, aiutandolo ad incanalarle in maniera sociale e adeguata all’ambiente e al contesto che lo circonda, lasciando che possa cresce in autonoma ed auto efficacia. Addestrare sta letteralmente per “rendere destro” ossia rendere abile, idoneo a una funziona o ad un comportamento. Addestramento è sinonimo di allenamento, quindi addestrare equivale ad allenarsi per acquisire o migliorare una data abilità, non innata!

L’addestramento passa tramite l’imposizione di comandi, i quali ripetuti nel tempo vengono acquisiti e va da sé che debbano essere eseguiti in un certo modo per essere efficaci. Da qui la necessità di allenarsi. Nell’abito addestrativo non si parla quindi di migliorare l’individuo come soggetto, di aiutarlo nella crescita e nella formazione del proprio sé, ma è un po’ come mandare un bambino alla scuola di calcio. A nessuno verrebbe mai in mente di chiedere all’allenatore di educare il bambino, tant’è che se si comporta male questo viene riferito, giustamente, al genitore, il quale ha il compito e la responsabilità di crescere quell’individuo.

Quindi non è mai troppo tardi per educare qualcuno, per lavorare sul proprio sé, ma fondamentale sarebbe invece lasciar crescere i cani prima di riempirli di comandi e richieste che forse non sono pronti a svolgere. Un cucciolo deve prima imparare chi è e poi potrà forse, se ne ha voglia e attitudine, imparare a trovarci le chiavi della macchina che ci siamo persi per casa.

“Chissà cosa gli succederà…” “Tranquillo…I cani sanno esattamente cosa fare”

Dogman si chiude con una scelta forte del protagonista, quella di fare gli ultimi passi della sua vita senza più supporto alcuno, né della sedia né dei tutori, se non quello della compagnia dei suoi unici e fedeli amici, i cani, che lo accompagnano fino alla fine.

Se c’è qualcosa che si può davvero riconoscere ai cani è l’assenza di sovrastrutture, tipiche della specie umana, che permettono loro di rimanerci al fianco nel bene e nel male, di supportarci solo con la loro presenza, senza pregiudizio alcuno.

A seguito di questa scelta Doug va in contro alla morte, a causa del proiettile rimasto incastrato nella sua colonna vertebrale che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle. Sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento, ma lui ha scelto quando e come, dopo essere riuscito a raccontare tutta la sua storia ad Evelyn.

Viene naturale chiedersi che fine faranno tutti quei cani, ma lui stesso dà una chiara risposta asserendo che i cani sanno esattamente cosa fare. Può sembrare assurdo, un prodotto della fantasia, della finzione del film, ma in realtà i cani, se messi nelle condizioni di poter sviluppare una loro autodeterminazione e una certa consapevolezza del contesto e della realtà che li circonda, sono perfettamente in grado di vivere senza il nostro aiuto.

Ne sono una prova ed una conferma i cani liberi, che vivono divisi in gruppi sociali, procurandosi il cibo da soli e vivendo una routine chiara ed organizzata, sopravvivendo a pericoli e difficoltà che i nostri pet, avvolti nella nostra protezione, non immaginano neanche.

Questo vuol dire che tutti i cani sarebbero in grado di vivere così? Ovviamente no, ma sicuramente è la prova della diversità dei soggetti all’interno di una stessa specie, di quanto sottovalutiamo e limitiamo una specie che non ci vogliamo sforzare di conoscere e accettare per quello che è. Dobbiamo smettere di prendere decisioni per altri senza domandarci che cosa davvero vorrebbero quegli altri e di cosa hanno davvero bisogno. Solo così si potrà dire di voler davvero aiutare i cani, solo rispettandoli e conoscendoli si potrà asserire di amarli. Ricordiamoci che amare non vuol dire né possedere né scadere nell’iper-cura e iper-protezione, né tanto meno nel controllo. Soprattutto in questi giorni dove si parla di violenza di genere, non dimentichiamoci che cosa vuol dire violenza: “Azione volontaria, esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà.”

Riflettiamoci tutte le volte decidiamo per i nostri cani, convinti che quella sia la cosa migliore per loro.

E: “Che cosa ti ha spinto ad aprirti con me?” D: “E’ che abbiamo una cosa in comune” E: “Ah sì…e cosa?” D: “E’ che abbiamo una cosa in comune” E: “Ah sì…e cosa?” D: “Il dolore”

Questa l’ultima conversazione tra la psichiatra Evelyn e Doug. Douglas, nonostante tutto il dolore vissuto e i soprusi subiti, ha la capacità di sentire il dolore altrui, è riuscito, nonostante la totale assenza di empatia nel suo processo di crescita, a svilupparla ugualmente, forse aiutato dai cani stessi.

Se facessimo un passo indietro, riconoscendo di vivere da secoli al fianco di una specie diversa e ci aprissimo alla conoscenza, potremmo acquisire la capacità di leggere e sentire i cani, di conoscerli nel loro profondo e tornare ad avere la consapevolezza di quella comunicazione che va oltre le parole.

I cani comunicano principalmente tramite la comunicazione feromonale, avvalendosi di un complesso sistema olfattivo capace di processare ormoni e feromoni, attraverso l’organo vomeronasale.

Si avvalgono poi della comunicazione non verbale e paraverbale. Tramite lo sguardo, le espressioni, i movimenti del corpo, sono in grado di comunicare in una maniera così sottile e meravigliosa che a noi sembra così lontana, ma che in realtà abbiamo solo perso l’abitudine di utilizzare con consapevolezza. Ci sono tantissime discipline che ci dimostrano quanto in realtà, inconsapevolmente, tramite gesti ed espressioni facciali, comunichiamo molto di più di quello che vorremmo ed anche se non siamo più in possesso dell’organo vomeronasale, presente nei nostri antenati preistorici, siamo estremamente sensibili agli odori. Ricordiamoci che ogni emozione è collegata ad una serie complessa di ormoni e questi emettono uno specifico odore.

Ai cani non possiamo mentire, perché sono perfettamente in grado di leggerci molto prima che solo pensiamo di fare qualcosa. Alla luce di ciò, dovrebbe venirci più che spontaneo voler entrare in questo meraviglioso e complesso mondo che ruota intorno alla loro specie, soprattutto se prendiamo in considerazione che conoscere i cani ci aprirebbe, in realtà, a leggere e sentire anche gli esseri umani, riconoscendo le emozioni oltre l’empatia, tramite la comunicazione non verbale, aumentando allo stesso tempo la capacità empatica.

Dunque ci si può godere la visione di Dogman senza farsi troppe domande e apprezzando l’ennesimo film di cani, oppure si può fare qualche riflessione in più chiedendosi cosa ci portiamo a casa dalla storia di Doug.

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